Les Amants Réguliers di Philippe Garrel - primo tempo


I piani di Garrel si gonfiano della poesia più pura, ogni suo piano è esplosione di poesia. Ci sono film che immortalano sequenza celebri, quadri destinati a rimanere nella memoria degli spettatori. Nei film di Garrel tutto è necessario, ma niente indispensabile: dimentichi un piano, una battuta, una sequenza ecco un altro piano, un’altra battuta, un’altra sequenza a riempire quel vuoto. Credo che Garrel non voglia lasciarci questo, credo che Garrel voglia lasciarci un ricordo, un sospiro, un senso.
La maggior parte degli spettatori ignora Garrel. Les Amants Réguliers ha avuto un compito che al cinema è tra i più importanti: far conoscere un autore al di là dei circuiti chiusi.
Garrel ha un pregio, che tanti altri non hanno: l’ hai trovato, nel vero senso della parola, non te l’ hanno presentato in mille svariati modi, sul piatto d’argento, come accade per altri registi o per altri film che conosci punto per punto senza neppure averli visti. L’averlo scoperto rende tutto più vero, quello che vedi lo vedi realmente per la prima volta, nessuno ti ha riempito la testa di preconcetti.
Per qualcuno che lo ama è stato anche un po’ un tradimento, mettere l’opera in bocca al grande pubblico. La fatica del cineasta, quel gusto che hanno i film consumati nel silenzio. Un pezzettino di ogni cuore è andato via con il biglietto venduto a chi non l’ ha saputo apprezzare. Puoi amare, puoi odiare ma il non saper apprezzare, l’indifferenza, resta il peggiore di ogni male.
Qui andrebbe una riflessione sul senso del cinema, dove stia il giusto mezzo. Se il cinema debba essere spettacolo per tutti o dividerlo in due categorie: quello del grande pubblico e quello degli appassionati, quello in stile fabbrica hollywoodiana contro quello che mette in piedi un capolavoro con i soldi che, in un’altra produzione, riuscirebbero a malapena a coprire le spese dell’analista di qualche grande divo o detto tale. Per quanto interessi la mia opinione a chi sta leggendo, ho sempre creduto in un cinema che potesse interessare al grande pubblico per una serie di motivi, ma che avesse insieme delle caratteristiche in grado di appagare anche gli appassionati. Ultimamente un’idea quasi del tutto utopistica. Ma se non si credesse nel pubblico, nel cinema inteso come spettacolo collettivo, i fratelli Lumière non avrebbero avuto ragione di esistere, staremmo ancora lì, isolati, a guardare i film piegati sul kinetoscopio di Edison.
I più l’ hanno visto solo come un film sul ‘68. Questo è un classico: un film è un capolavoro? Un film è un’immane schifezza? Ambienta un film nel ’68 e tutti, e dico tutti, saranno estasiati; nessuno vedrà il film, tutti vedranno il ’68. Te lo sorbirai ai falsi cineforum allestiti in puro stile porta a porta all’autogestione/occupazione del liceo, e se ne starà lì tranquillo insieme a Ovosodo e a I ragazzi dello zoo di Berlino (spero vivamente che qualcuno abbia frequentato un liceo migliore del mio!). Ennesimo sputtanamento, ferita aperta. Dopo essersi digeriti quasi tre ore di film, di cui probabilmente non hanno capito un’acca, si sprecheranno commenti del tipo beati loro, oh come avrei voluto vivere a quei tempi, quanto si divertivano (mentre fumavano oppio e si afflosciavano in una bella casa di un riccone parigino). Pazienza… ci è stato dato di sprecare la nostra giovinezza in questo nuovo millennio che sta andando a farsi benedire, non abbiamo ideali, il rock è morto, non c’ è più coscienza politica… puro qualunquismo, se tutto fa schifo sarà colpa anche nostra?! Magari se avessimo guardato quelle inquadrature geniali, dove Garrel invece di mettere una didascalia, riprende un numero civico 68 e poi 69 per farci capire di che anno sta parlando, o se ci fossimo persi in quell’inquadratura che immortala occhi colmi di commozione. Un primo piano di una lunghezza spaventosa, che si carica di emozione pura, che sarebbe potuto durare anche dieci minuti tanto diceva tutto senza aver bisogno di dire nulla. O la poesia di un violinista solitario in una strada vuota, che colma la sua follia o la sua immensa saggezza in quella capra che tiene legata. Inquadrature di un fascino infinito.Il Maggio Francese di Garrel si risolve in una sola sequenza, non c’è approfondimento; Garrel l’ ha filmato perché ha fatto parte della sua vita come della vita di altri: perché c’è, è esistito. Non ne fa il motivo del film, è la poesia della vita vissuta, non della vita inventata. Il realismo del sogno.


seconda parte

3 commenti:

ROSSO CREMISI ha detto...

mi aspettavo qualcosa di più da questo film.

monia ha detto...

mi trovi abbastanza d' accordo: da una parte anch' io penso che garrel possa fare e abbia fatto di meglio; ma dall' altra, credo sia uno dei migliori film usciti negli ultimi anni. pochi sono al suo livello.

chiara ha detto...

ciao! anche noi abbiamo recensito questa pellicola. personalmente credo che il cinema di garrel sia uno tra i pochi impareggiabili, inarrivabili. e sono d'accordo che non si tratti della sua opera migliore. se vorrai venire a trovarci ne saremi lieti http://controreazioni.wordpress.com/ ciao