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Il Disprezzo di Jean-Luc Godard


Nelle mani di Godard la trasposizione cinematografica del libro di Moravia si trasforma in un lavoro del tutto personale ed il cineasta, come di consueto, si rifà ad una fonte letteraria solo pretestualmente cosicché dell’ opera si riprendono solo le linee guida. L’avvenente moglie francese di uno sceneggiatore italiano inizia a disprezzare il marito dopo che questi cede ai compromessi con un produttore americano che l’ha scritturato per lavorare a un film sull’Odissea diretto da un regista tedesco, Fritz Lang.I ruoli del produttore, del regista e dello sceneggiatore sono mescolati e differiscono da quelli che Moravia gli aveva dato in principio: Godard, infatti, sconvolge la dicotomia classicità/modernità, propendendo per la prima. La figura di Emilia, Camille nel film, è disegnata in una veste del tutto diversa rispetto a quella originaria. La misoginia di Godard si accentua e, non a caso, l’ autore sceglie Brigitte Bardot, icona della voluttà e leggerezza femminile, proprio come a voler sottolineare la sua concezione della donna: se l’ uomo nei suoi film è la figura romantica e sognatrice, la donna rappresenta la controparte frivola. E’ vero anche che mentre nel libro si comprendono le motivazioni che spingono Emilia a disprezzare il marito, nella pellicola non si riesce a percepire la medesima sensazione. In secondo luogo con la Bardot, Godard vuole rappresentare il cinema commerciale: siamo in un momento di stasi della Nouvelle Vague e, infatti, nella pellicola a essere in primo piano non è la lavorazione del film l’odissea, ma i rapporti interpersonali, le liti tra regista, produttore e sceneggiatore, insomma il cinema, così come i giovani turchi lo avevano sognato, sta morendo. Godard con il disprezzo ha inteso fare un film sulla crisi del cinema, ed ha scelto l’Italia e Brigitte Bardot per dimostrarla: con la prima volendo rappresentare il luogo ideale della corruzione e con la seconda il perno del cinema commerciale che come suggerisce il finale, morirà.
originariamente pubblicato su IL MACHETE