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Nosferatu, eine Symphonie des Grauens di F.W Murnau

Nosferatu è uno degli esempi della grande genialità dei registi al tempo del muto, quando ancora agli albori del cinema si riusciva a creare capolavori dal valore immenso destinati a rimanere nella storia. La scelta della messa in scena assumeva un valore molto alto, non c’era la parola o meglio la voce con cui poter comunicare e l’ unico mezzo d’ espressione era l’ immagine. Questo apparente limite non era ostacolante, ma faceva sì che si riuscissero a sviluppare al meglio proprio le infinite possibilità che ha la messa in scena. Liberamente ispirato al Dracula di Bram Stoker le controversie e le leggende legate al film sono oramai più che famose. Forse la pellicola ai nostri occhi, abituati alla velocità, allo schiudersi e richiudersi d’ immagini, al frastuono delle parole appare lento, invero è però che è cinema, e al cinema conta ricordare le immagini e queste sono impresse nella mente. La genialità di Murnau fu nel riuscire a far rispecchiare sapientemente l’ anima nell’ ambiente e a delineare in modo nuovo l’ essere stesso dei personaggi.
Lo spirito di Nosferatu, quella del vampiro che simboleggia il male e il presagio di morte è largamente rispecchiato nella scelta degli elementi scenografici. Murnau si avvale di molte riprese in esterno, questo costituiva un’ importante novità rispetto ad un periodo in cui le riprese in esterno erano rischiose e quella dei teatri di posa era una scelta pressoché obbligata; ma anche rispetto alla tendenza generale dell’ espressionismo tedesco che era solito ricreare gli ambienti attraverso possenti scenografie spesso create da veri e propri architetti. E’ in questa natura quindi che Murnau ricerca la presenza del male: dagli elementi più espliciti come la dimora del Conte Orlok, la cui architettura gotica è associata nell’ immaginario comune al male e al mistero, al veliero che solca i mari come un fantasma, fino alla città dove dilaga la peste. Ma anche elementi meno scontati come la iena che si aggira nei boschi.
L’ uso massiccio delle ombre per rappresentare il male, è forse un primitivo esperimento su cui giocheranno poi i grandi film dell’ orrore: la paura che si cela in ciò che non si vede (un’ ombra appunto). Questo, insieme allo svolgersi lento del racconto, riesce a creare un’ atmosfera rarefatta costantemente tesa tra reale ed irreale. Altri elementi invece che ispessiscono l’ aura di mistero, erano quelli già comuni sia all’ espressionismo tedesco che, più in generale, al cinema muto. L’ uso della luce, ad esempio, volto a giocare sul forte contrasto: a zone molto illuminate si contrappongono zone del tutto buie; e gli attori dalla grande capacità mimica (tipica di questo cinema) che spesso tendono dall’ essere personaggi a trasformarsi in vere e proprie maschere. Come appunto una maschera è lo stesso Orlok, realizzato in maniera eccezionale, diventerà uno dei prototipi su cui, nel cinema, si ricalcherà spesso la figura del cattivo. Ultimissimo esempio in questo senso è il critico Ego in Ratatouille che rispecchia palesemente, sia nella caratterizzazione fisica che nelle movenze, il vecchio Conte.
Ma Orlok, il cattivo, subisce durante il film una grande metamorfosi: se le connotazioni fisiche erano state create per mettere in soggezione lo spettatore (anche se ai nostri occhi magari può apparire più ridicolo che spaventoso), durante lo svolgimento la figura “spietata” va mano a mano scemando fino a creare un ritratto sempre più malinconico. Ritratto che si esplicita nella sua totalità nel rapporto con Ellen romanticamente teso tra amore e morte. E una trasformazione che raggiungerà il suo apice nella scena finale, dove il mostro, per un attimo prima di dissolversi per sempre, apparirà ai nostri occhi come uomo.