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Visage di Tsai Ming-liang


Viviamo nel tempo dell’incontinenza verbale, così assuefatti dal subire continuamente delle voci che il silenzio non fa più parte della nostra quotidianità; eppure la suggestione non nasce soltanto dalla parola, anzi, più frequentemente è lo spettacolo del visibile a far risvegliare le emozioni più intime. Allo stesso modo la natura profonda del cinema non è quella della parola, la sua grammatica l’ associa ad un’arte primitiva e “silenziosa”, la pittura, con la quale condivide il suo tassello portante, il quadro, oggetto iconico bidimensionale al cui interno il regista, come il pittore, si esprime.

Henri Langlois e Les Evénements de la Chinémathèque

Il 6 febbraio del 1968 il consiglio di amministrazione della Cinémathèque Française, su pressione del Governo Francese ed in particolare dietro spinta diretta del Ministro della Cultura André Malraux, sollevò Henri Langlois dal posto di direttore dell’istituzione parigina, rimpiazzandolo con un candidato di comodo scelto dal governo, tale Pierre Barbin; la decisione del Ministro trovò giustificazione nel dover rimediare all’amministrazione di Langlois, condotta in modo evidentemente lacunoso.
La scelta di destituire l’antico fondatore della Cinémathèque dal suo incarico risuonò nell’ambiente come una costrizione immotivata, Henri Langlois era già all’epoca una figura di riferimento per cineasti, critici e attori di tutto il mondo: con la sua persona simboleggiava la forza dell’amore incontrastato per la pellicola. A molti apparve più che una scelta mirata a migliorare, un sopruso, tanto più che il nuovo direttore si mise in fretta a cambiare addirittura le serrature dell’edificio al punto che Marie Epstein, una delle segretarie di Langlois -anch’ esse licenziate senza preavviso, come il resto del suo entourage- vi rimase addirittura chiusa dentro.
Le proteste non tardarono ad iniziare, appena dilagata la notizia venne creato il Comité de Défense de la Cinémathèque, con sede nella redazione dei Cahiers du Cinéma al quale molti cineasti della Nouvelle Vague, ed in particolare François Truffaut (nel periodo occupato anche alle riprese di Baisers Volés) vi presero parte attivamente. Da mattina a sera si raccoglievano firme e si chiedeva ai registi di bloccare le proiezioni dei loro film che dovevano avvenire alla cinémathèque; in tal modo in poco tempo le sale sarebbero rimaste a corto di pellicole, l’istituzione non avrebbe più avuto ragione di esistere e il nuovo direttore -e in particolar modo il Ministro Malraux- sarebbe stato costretto a rivedere le proprie scelte.
Una prima manifestazione, del tutto pacifica, si svolse subito pochi giorni dopo; vi parteciparono quelle che all’epoca erano le figure di spicco dell’ambiente cinematografico: Jean-Luc Godard, François Truffaut, Alain Resnais, Jacques Rivette, Jean-Pierre Léaud, Jean Eustache, Michel Piccoli solo per citare alcuni nomi. Accanto a queste nuove generazioni, più attive e politicizzate, si affiancò la vecchia guardia dei Michel Carnè e dei Nicholas Ray, al tempo il cineasta americano più amato in Francia. Presto si ebbe solidarietà anche da personalità più influenti, telegrammi di sostegno arrivarono dagli Stati Uniti da registi del calibro di Charlie Chaplin, Fritz Lang e Dreyer.
Una settimana più tardi si svolse una nuova manifestazione, gli animi si fecero più accesi e vi furono svariati scontri con la polizia che attaccò la folla, la quale sentendosi aggredita iniziò a lanciare sassi al Palais de Chaillot (sede della Cinémathèque) si ruppero i vetri e si aprirono le finestre per entrare nell’edificio: ciò provocò un nuovo intervento della polizia ed alcuni arresti.
Un mese più tardi vi fu l’ultima manifestazione, l’unica delle quali vide la partecipazione attiva di Daniel Cohen Bendit; il futuro leader del Maggio Francese tenette desti gli animi asserendo che il “caso Langlois” poteva esulare dall’ambiente strettamente cinematografico per rifarsi ad un discorso più ampio sull’abuso di potere e di come questo può essere combattuto da una coalizione popolare; è vero, infatti, che gli avvenimenti che si tennero dal 6 febbraio al 23 aprile 1968, videro la partecipazione attiva di una classe di lavoratori, tali erano non solo le personalità più evidenti come cineasti, attori e critici, ma tutti coloro che lavoravano nell’ambiente cinematografico; queste persone riuscirono difatti a destabilizzare, (dal basso) un potere “alto” come quello del Governo francese; tanto che, spesso, si sottolinea che gli scontri avvenuti in questo periodo furono insieme l’inizio e una delle cause del Maggio.
Dopo due mesi e mezzo di contestazioni alla Cinémathèque venne convocata un’assemblea generale che rimise in carica Henri Langlois, era il 23 aprile del 1968 e il “popolo” del cinema francese aveva vinto la sua battaglia. L’evento tanto atteso fu festeggiato a dovere con la proiezione di una copia svizzera, ancora inedita, de “Il Circo” di Charlie Chaplin.

Baisers Volés di François Truffaut


Con la terza pellicola incentrata sulla figura di Antoine Doinel, Truffaut svela definitivamente la sua intensione di voler portare nel cinema un ciclo che si avvicini alla tradizione letteraria francese della Commedia umana di Balzac e dei Rougon-Macquart di Zola.
Dopo lo straordinario esordio con Les 400 coups e il simpatico episodio di Antoine et Colette contenuto nella pellicola collettiva L’ Amour à vingt ans, ritroviamo il nostro di ritorno dal servizio militare.
Quello di Antoine in Baisers Volés è un debutto nella vita, terminata l’adolescenza è il momento di prendersi la responsabilità e di diventare uomo sia nel lavoro che nella vita sentimentale. Doinel si dimostra però come quello che si era percepito fin dai primi due episodi: la sua vita non può seguire la regolarità degli altri esseri umani perché per quanto egli tenti di costruirsi un mondo ordinario si ritrova sempre in situazioni straordinarie. Le circostanze, però, non lo trasformano nell’eroe cinematografico ma altro non fanno che confermare la sua provvisorietà, il suo essere un anti-eroe; Doinel è condannato ad essere un precario dell’esistenza: se Truffaut amava affermare che il cinema lo affascinava tanto poiché in esso si riscoprivano i motivi di assoluto ai quali si può mirare solo nell’infanzia, con il personaggio di Doinel egli mette in scena la relatività della vita che si allontana dall’universo cinematografico dove “tutto è per sempre”. Ovviamente molto del merito va al protagonista, Jean - Pierre Léaud, al quale il regista lasciò tutta la libertà d’azione richiesta: l’attore con la sua recitazione manierata fatta di tic, scatti, d’inconfondibili nevrosi conferì a Doinel una goffaggine mista a stralunatezza che lo rende a tutt’ oggi uno dei personaggi più “umani” della storia del cinema.
L’intera pellicola è curata, come era solito fare Truffaut, fin nei minimi particolari: dalla sceneggiatura scoppiettante ricca degli inconfondibili motivi del suo cinema, all’attenzione per i personaggi secondari di modo che l’opera acquisti la forza di una rappresentazione corale di uno scorcio di vita sul finire degli anni ’60. A questo proposito il regista fu accusato più volte di omettere la componente politica che segnava il periodo (siamo nel ’68, agli albori del maggio francese); in realtà il cineasta si divise animosamente tra le riprese del film e la campagna a favore di Henri Langlois che nel periodo era stato dimesso dalle sue mansioni alla Cinémathèque Française; nel suo essere scevra di riferimenti politici, la pellicola resta, se così si può dire, un film “impegnato” non solo nel chiaro incipit che immortala la Cinémathèque sbarrata con in sovraimpressione la dedica a Langlois ma nel fatto che lo stesso Truffaut dichiarò più volte che la pellicola era strettamente legata a questi fatti.
L’opera segue perciò uno spirito paragonabile ai film di Renoir, non solo nel finire per essere politico senza pretenderlo ma anche nello spirito di straordinaria fiducia nell’uomo che permea tutta la pellicola; non a caso il personaggio di Fabienne Tabard (Delphine Seyrig) ricordando le parole del padre sul letto di morte dirà: “Les gens sont fantastique”. Questo personaggio oltre ad essere “alla Renoir” incarna alla perfezione l’amore secondo Truffaut e la duplicità dei suoi personaggi: Fabienne si palesa in un primo momento come la donna angelica, la diva da cinema verso la quale il povero Doinel si dimostra goffo e intimorito per poi svelarsi come donna terrena, la puttana e l’amante che come nulla fosse s’ intrufola tra le lenzuola di un attonito Antoine.
Baisers Volés è un film leggero e nostalgico come vuole dimostrare la canzone di Trenet alla quale il titolo s’ ispira. Un film che ci riporta indietro ad un’epoca storicamente influente ma che non è stata vissuta soltanto sulle barricate; ed un’opera che ricorda come la vita, anche se precaria e relativa, nei suoi molteplici e straordinari intoppi è più vicina al cinema di quanto si creda.