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L' Atalante di Jean Vigo - il cuore del cinema


Basta solo pensare a L’Atalante di Vigo per avere negli occhi l’immagine dell’incanto. Guardi L’ Atalante e ti chiedi quale sia il suo mistero, come possa con il suo pacato lirismo trastullarsi tra il cuore e il ricordo, sfuggendo la ragione. Puoi dire: “E’ L’ Atalante, è il cuore del cinema, è il film più bello del mondo…”. Ma L’Atalante elude anche le parole, le definizioni e insieme il tempo. Perché Vigo, animato dal suo gioioso anarchismo, con questa sua figura così romantica di autore perseguitato dalla sorte avversa, ha celato nella celluloide il segreto del cinema e della vita.
Nemmeno questa sua aurea di mito, che lo avvolge, che lo culla tra le braccia del tempo da ormai tanti anni può spiegarlo. L’Atalante è più grande anche del suo stesso mito, lui appena nato ha imparato a correre più veloce, fino a superarlo; e mentre passeggia così verso l’infinito, ogni tanto si ferma per voltarsi indietro, ti strizza l’occhio e si fa guardare un po’ nella sua ammaliante bellezza.
L’anarchia di Zéro de Conduite e il volteggiare della macchina da presa di À Propos de Nice, che si muove musicalmente nello spazio, confluiscono ne L’ Atalante.
Anche se parlare d’inquadrature può sembrare del tutto riduttivo, va almeno citata la fondamentale collaborazione di Boris Kaufman; dietro la macchina da presa per i primi due e alla fotografia per L’Atalante contribuì a donare a queste pellicole un tocco di modernità e di originalità incredibile rispetto al cinema del periodo. Ne L’ Atalante i piani non sono semplici finestre che ci permettono di assistere alla rappresentazione, ma sguardi intensi che s’ impregnano di poesia: le inquadrature ribassate fino a terra, i corpi avvolti dalla nebbia ripresi ora dall’alto ora dal basso, le infinite angolazioni sperimentate per ricreare, proprio attraverso gli stessi giochi di macchina, la tensione emotiva; la macchina da presa finisce per sembrare un uomo nascosto che “spia” questi avventurieri, dagli angoli più nascosti del battello.
Quella de L’ Atalante è la storia di un amore tra Jean, capitano di battello e Juliette, ragazza di paese. E’ l’amore ritratto nel momento più avventuroso quello in cui la relazione inizia e la coppia comincia a scoprirsi, forse il momento più magico dell’amore, che poi interesserà tanto anche la filmografia di Truffaut.
L’amore di Vigo è un’amore libero, ma di una libertà non canonica, è un amore che è libero senza pretenderlo poiché spontaneo. Una spontaneità innocente e perciò impunibile, fatta di grandi slanci di passione ma anche di liti e separazioni un po’ infantili. Ecco, L’Atalante di Vigo è un film spontaneo, se proprio si vuol parlare di anarchia, è l’anarchia del sentimento che porta gli eroi di Vigo a vivere l’amore come un luogo incantato, un castello delle fiabe; e lo spettatore a vivere il film con la stesso sentimento dei protagonisti. Questo incanto è ripreso in tutta la pellicola, la chiatta che naviga placida lungo la Senna grigia, avvolta dalla nebbia, diventa un luogo fantastico ancor più dei velieri di Jules Verne che solcavano oceani per giungere in terre lontane.
Come fantastica è la cabina dove Pére Jules, vecchio lupo di mare, nasconde i suoi tesori e la sua vita. La figura del vecchio marinaio, con il corpo coperto di tatuaggi e le sue mille avventure da raccontare evoca il mondo sconosciuto, terre esotiche, il mistero. Lo stupore di Juliette nel vedere oggetti strani e a lei nuovi, quella cabina che nasconde l’ignoto tra gatti, carillon e mani mozzate. Ed è come se anche noi vedessimo tutti quegli oggetti per la prima volta, lo stupore di Juliette è anche nostro. Vigo non filma: proiettando il suo sguardo, proietta quello dello spettatore.
Jean si tuffa, disperato nella Senna per vedere il volto della sua amata. Quella sequenza che fa tenere il fiato sospeso, di uno splendore senza paragoni. Mentre nuota e la cerca, lei appare nel suo abito da sposa. Lo sguardo di Jean è nostro, perché basta chiudere gli occhi per far apparire L’ Atalante.
Penso che, in generale, i film più grandi siano proprio quelli che riescono a far vivere allo spettatore i sentimenti dei protagonisti, non si tratta di sentire la storia o di immedesimarsi o di riconoscersi in un personaggio piuttosto che in un altro, ma di vivere l’emozione. E Vigo ci riesce, filmando un sogno. Un sogno plausibile, che nutrendosi di una fantasia infantile può trovare le sue basi solo in una realtà prossima. E’ come quando, da bambini, mentre si giocava, un angolo del giardino poteva trasformarsi in una giungla da esplorare. Vigo ha filmato questo giardino, ma noi continuiamo a vedere quella giungla; ecco credo che la magia sia tutta qui, ma potrei anche sbagliarmi, dopotutto è L’Atalante, è il cuore del cinema, è il film più bello del mondo…