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Midnight in Paris di Woody Allen

Quando si fa dell’ arte e del cinema che deve essere prêt-à-porter, se non s' iscrive l'opera in un genere e se ne seguono gli stilemi, uno dei metodi più semplici per attirare il pubblico è un escamotage di sicuro impatto. In questi tempi, unanimemente considerati bui, quale espediente migliore se non la nostalgia?
Midnight in Paris è un film che avrebbe potuto “essere” ma non è stato: i molti sbocchi di discussione, l’ ambientazione parigina che da sola “fa” cinema, il ritorno romantico all’ arte intesa come vita, sono mozzati bruscamente e immersi in una nebbia, densa e insopportabile come l’ utilizzo massiccio che Allen fa della profondità di campo ridotta.
Lo spettatore quindi non ha tempo o spazio per riflettere sui molti interrogativi che accennano i protagonisti della storia, ma a rapirlo è la sfilata delle grandi figure della storia dell’ arte che Gil (Owen Wilson) incontra durante le sue passeggiate notturne per le strade della Ville Lumiére; d’ altra parte chi riesce a riflettere sul valore del proprio presente mentre sullo schermo madame Gertrude Stein accusa Picasso di essere un petit-bourgeois? Invero è proprio su questo che il film dovrebbe far riflettere lo spettatore, ovvero sulla quotidianità spicciola di ogni epoca, il cui valore è relativo sia all’ ambiente in cui si vive sia a come si vive.

Whatever Works di Woody Allen

Boris Yelnikoff ha al suo attivo una carriera come fisico di fama mondiale, un matrimonio fallito e un tentativo di suicidio; conduce a New York un’esistenza cinica e solitaria, intramezzata da qualche uscita con gli amici. Woody Allen ritorna così alla commedia psicanalitica e alla sua Manhattan con questo film che probabilmente finirà per diventare un cult della sua produzione.
Il regista questa volta sembra volersi mettere a diretto contatto con il suo pubblico grazie alla trovata di far parlare Boris (ma non gli altri protagonisti, che in realtà lo prendono per pazzo) con il suo pubblico.
La vita dell’uomo sarà dipanata dall’incontro con Melody, avvenente peperina scappata da un sud degli Stati Uniti ancora profondamente bigotto; la ragazzina tenterà il in ogni modo di farsi accettare da Boris e finirà per trascinarlo in uno strampalato matrimonio.
Proprio nel momento in cui tutto la vita tra i due sembrava allinearsi sulla via della conformità giunge a New York Marietta, madre di Melody, alla ricerca della figlia ormai scappata di casa da un anno.
Del tutto contraria al matrimonio con l’attempato Boris, sarà proprio Marietta ,cercando un ragazzo ideale per la figlia, a rappresentare il personaggio di svolta. La donna, nella caotica Manhattan, scoprirà la sua vera natura, trasformandosi da moglie fedele a fotografa dalla vita intima decisamente bohèmienne. Questo svelarsi per quello che è il proprio essere porterà anche gli altri personaggi, attraverso incontri più o meno fatali, a riscoprire la loro intrinseca natura.
Woody Allen non delude, come di consueto si ritrovano nell’opera tutte le figure che da sempre caratterizzano l’Io del regista e la sua produzione, nel caso specifico del film non li ritroviamo solo nel suo alter-ego Boris, ma in modi più o meno differenti, in ogni personaggio della pellicola.
La sceneggiatura si dimostra all’altezza dei migliori film: battute sagaci e ritmo scoppiettante tengono lo spettatore incollato allo schermo; allo stesso tempo la regia segue l’armonia della parola mescolando i tempi cinematografici a quelli teatrali.
Nel suo complesso la pellicola è scevra di sbavature, sia concettualmente che formalmente, e dall’inizio un po’ cinico si ritrova un finale decisamente delizioso che ricorda a tutti che non importa come e quando ma tutto tornerà a funzionare come deve.