Quando si fa dell’ arte e del cinema che deve essere prêt-à-porter, se non s' iscrive l'opera in un genere e se ne seguono gli stilemi, uno dei metodi più semplici per attirare il pubblico è un escamotage di sicuro impatto. In questi tempi, unanimemente considerati bui, quale espediente migliore se non la nostalgia?
Midnight in Paris è un film che avrebbe potuto “essere” ma non è stato: i molti sbocchi di discussione, l’ ambientazione parigina che da sola “fa” cinema, il ritorno romantico all’ arte intesa come vita, sono mozzati bruscamente e immersi in una nebbia, densa e insopportabile come l’ utilizzo massiccio che Allen fa della profondità di campo ridotta.
Lo spettatore quindi non ha tempo o spazio per riflettere sui molti interrogativi che accennano i protagonisti della storia, ma a rapirlo è la sfilata delle grandi figure della storia dell’ arte che Gil (Owen Wilson) incontra durante le sue passeggiate notturne per le strade della Ville Lumiére; d’ altra parte chi riesce a riflettere sul valore del proprio presente mentre sullo schermo madame Gertrude Stein accusa Picasso di essere un petit-bourgeois? Invero è proprio su questo che il film dovrebbe far riflettere lo spettatore, ovvero sulla quotidianità spicciola di ogni epoca, il cui valore è relativo sia all’ ambiente in cui si vive sia a come si vive.