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Les Chansons d' Amour di Christophe Honoré

Les Chansons d’ Amour è un film dolce e amaro, un film d’ amore e sul bisogno di amare ed essere amati. Christophe Honoré riesce a coniugare con dolcezza il nostro mondo con la nostalgia per un tempo che fu e vuole ancora essere.
Rievoca lo spirito di un cambiamento, fin dall’ inizio, dove i titoli di testa ricordano - o forse omaggiano graziosamente - Les 400 coups. La cinepresa si muove per le strade del decimo arrondissement e nei volti avvolti da una nebbiolina uggiosa di una qualunque giornata d’ inverno, ci sono persone. Parigi è ancora viva, certamente diversa, ma riesce ad entrare nel film con lo stesso tenero vigore, Parigi di nuovo attrice. La ritroviamo ideale come in Truffaut e reale come in Godard. Honoré fa divincolare gli attori nel traffico, sui marciapiedi dove i passanti, incredibilmente, si voltano ancora a guardare la cinepresa.
Ma è anche un film pienamente radicato nel presente, che racconta l’ incontro e l’ amore, lo smarrimento e la morte. Un dramma che si costruisce nella forma di commedia musicale, dove gli attori cantano con voci dolci e sussurrate le canzoni di Alex Beaupain.
Ismaël (Louis Garrel) è innamorato di Julie (Ludivine Sagnier) ma anche di Alice (Clotilde Hesme) e non riesce ad essere abbastanza maturo da poter pensare di “sistemarsi” con la prima. Alice, come canta, si trova a fare da ponte tra i due. Questo rapporto a tre è un po’ un’ idillio alla Jules et Jim, ma non manca di momenti che strizzano l’ occhio a La Maman et la Putain. Poi Julie muore, inaspettatamente. L’ elaborazione del lutto da parte della famiglia della ragazza. Le difficoltà di Ismaël davanti a questa morte assurda che è anche perdita di una stabilità affettiva già precaria. Poi la sua rinascita grazie all’ amore, che Erwann riesce, dopo aver insistito con tanta tenacia, a dargli e a ricevere. A tenere insieme la storia sono proprio le canzoni, come dei momenti sognati, dalle quali si percepiscono con immediatezza i sentimenti dei protagonisti.
Gli omaggi di Honoré sono davvero tanti, ed è piacevole poter riconoscere i piani che questo film di nuovo millennio si è fatto prestare dal passato. Rivivono le inquadrature di Eustache, Demy e Godard; chiare, vere e proprie citazioni che non si nascondono. Alimentano indubbiamente una vena nostalgica ma, allo stesso tempo, trovandosi nelle scene decisive allo svolgimento narrativo, finiscono per essere parte integrante ed indispensabile del film. Allo stesso modo troviamo la struttura narrativa divisa in capitoli, le didascalie e le insegne luminose di Godard, i libri di Truffaut.
L’ unico neo di tanto citare sta nei momenti in cui Garrel recita alla Léaud. Benché ai piani alti(1) sia stato detto che il giovane attore poteva ricordarlo (e, in effetti, Les Amants Réguliers ne era una prova) va detto che la differenza tra voler ricordare e imitare può diventare labile, e indirizzarsi verso la seconda è drammatico. La recitazione manierata, le espressioni e i gesti allucinati di Léaud poco gli si addicono. Ismaël/Garrel, con il suo aplomb da bel tenebroso stona nelle vesti dell’incerto Doinel(2). Ma per un personaggio che fa un passo falso, c’è n’ è un’ altro cui Honoré invece ha reso grazia. Jeanne, sorella maggiore di Julie, è interpretata da una splendida Chiara Mastroianni. L’ attrice riesce, anche se in una parte marginale, a fare onore a cotanto cognome. La sua è una parte intensa ed il regista è abilissimo nel cogliere attraverso i primi piani ogni sfumatura del suo volto, dove nel carattere marcato e negli occhi sognanti rivive anche un po’ del nostro cinema.

Plus d'infos sur ce film

Les Chansons d’ Amour è un film da amare. E’ una pellicola intensa ma che scorre bene, che citando crea e che riesce ad essere ben equilibrata tra presente e passato, sogno e quotidiano. Il suo vero omaggio alla Nouvelle Vague sta nel voler nuovamente parlare al presente, nel voler cercare lo straordinario nell’ ordinario, nel tentare di raccontare quella che per un certo tipo di cinema presuntuoso è la banalità e che per altri, invece, banalità non è perché come diceva Zavattini, il banale non esiste. Ma è anche un film da difendere perché è un cinema che racconta di noi. Honoré ha reso giustizia alla generazione che ritrae. Questa generazione, che è anche la mia, poco presente al cinema se non in veste frivola o da soap opera, desiderosa di ottenere una parte in tv, precaria in ogni senso e spesso sconfitta. Oppure che diventa vincente solo quando scappa dal mondo, si agita isterica fuggendo dalla società che l’ ha creata.
In questo film non fugge nessuno, al massimo si scappa per un po’, neppure troppo lontano, per poi ritornare. C’è lo scontro con la politica e la società, c’è chi fa il giornalista e non l’ aspirante velina. E insieme alla realtà ci sono i sogni, l’ amore in tutte le sue sfaccettature, la vita.


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(1) Cahiers Du Cinéma, in un' articolo a proposito de Les Amants Réguliers
(2) In certi memorabili passaggi di Baisers Volés e Domicile Conjugal.

pubblicato anche su CONTROREAZIONI