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" Fare un film significa migliorare la vita,
sistemarla a modo proprio, 
significa prolungare i giochi dell'infanzia"

François Truffaut

Henri Langlois e Les Evénements de la Chinémathèque

Il 6 febbraio del 1968 il consiglio di amministrazione della Cinémathèque Française, su pressione del Governo Francese ed in particolare dietro spinta diretta del Ministro della Cultura André Malraux, sollevò Henri Langlois dal posto di direttore dell’istituzione parigina, rimpiazzandolo con un candidato di comodo scelto dal governo, tale Pierre Barbin; la decisione del Ministro trovò giustificazione nel dover rimediare all’amministrazione di Langlois, condotta in modo evidentemente lacunoso.
La scelta di destituire l’antico fondatore della Cinémathèque dal suo incarico risuonò nell’ambiente come una costrizione immotivata, Henri Langlois era già all’epoca una figura di riferimento per cineasti, critici e attori di tutto il mondo: con la sua persona simboleggiava la forza dell’amore incontrastato per la pellicola. A molti apparve più che una scelta mirata a migliorare, un sopruso, tanto più che il nuovo direttore si mise in fretta a cambiare addirittura le serrature dell’edificio al punto che Marie Epstein, una delle segretarie di Langlois -anch’ esse licenziate senza preavviso, come il resto del suo entourage- vi rimase addirittura chiusa dentro.
Le proteste non tardarono ad iniziare, appena dilagata la notizia venne creato il Comité de Défense de la Cinémathèque, con sede nella redazione dei Cahiers du Cinéma al quale molti cineasti della Nouvelle Vague, ed in particolare François Truffaut (nel periodo occupato anche alle riprese di Baisers Volés) vi presero parte attivamente. Da mattina a sera si raccoglievano firme e si chiedeva ai registi di bloccare le proiezioni dei loro film che dovevano avvenire alla cinémathèque; in tal modo in poco tempo le sale sarebbero rimaste a corto di pellicole, l’istituzione non avrebbe più avuto ragione di esistere e il nuovo direttore -e in particolar modo il Ministro Malraux- sarebbe stato costretto a rivedere le proprie scelte.
Una prima manifestazione, del tutto pacifica, si svolse subito pochi giorni dopo; vi parteciparono quelle che all’epoca erano le figure di spicco dell’ambiente cinematografico: Jean-Luc Godard, François Truffaut, Alain Resnais, Jacques Rivette, Jean-Pierre Léaud, Jean Eustache, Michel Piccoli solo per citare alcuni nomi. Accanto a queste nuove generazioni, più attive e politicizzate, si affiancò la vecchia guardia dei Michel Carnè e dei Nicholas Ray, al tempo il cineasta americano più amato in Francia. Presto si ebbe solidarietà anche da personalità più influenti, telegrammi di sostegno arrivarono dagli Stati Uniti da registi del calibro di Charlie Chaplin, Fritz Lang e Dreyer.
Una settimana più tardi si svolse una nuova manifestazione, gli animi si fecero più accesi e vi furono svariati scontri con la polizia che attaccò la folla, la quale sentendosi aggredita iniziò a lanciare sassi al Palais de Chaillot (sede della Cinémathèque) si ruppero i vetri e si aprirono le finestre per entrare nell’edificio: ciò provocò un nuovo intervento della polizia ed alcuni arresti.
Un mese più tardi vi fu l’ultima manifestazione, l’unica delle quali vide la partecipazione attiva di Daniel Cohen Bendit; il futuro leader del Maggio Francese tenette desti gli animi asserendo che il “caso Langlois” poteva esulare dall’ambiente strettamente cinematografico per rifarsi ad un discorso più ampio sull’abuso di potere e di come questo può essere combattuto da una coalizione popolare; è vero, infatti, che gli avvenimenti che si tennero dal 6 febbraio al 23 aprile 1968, videro la partecipazione attiva di una classe di lavoratori, tali erano non solo le personalità più evidenti come cineasti, attori e critici, ma tutti coloro che lavoravano nell’ambiente cinematografico; queste persone riuscirono difatti a destabilizzare, (dal basso) un potere “alto” come quello del Governo francese; tanto che, spesso, si sottolinea che gli scontri avvenuti in questo periodo furono insieme l’inizio e una delle cause del Maggio.
Dopo due mesi e mezzo di contestazioni alla Cinémathèque venne convocata un’assemblea generale che rimise in carica Henri Langlois, era il 23 aprile del 1968 e il “popolo” del cinema francese aveva vinto la sua battaglia. L’evento tanto atteso fu festeggiato a dovere con la proiezione di una copia svizzera, ancora inedita, de “Il Circo” di Charlie Chaplin.

NUMERO19 | NOVEMBRE’09




RAPPORTO CONFIDENZIALE. rivista digitale di cultura cinematografica

NUMERO19 NOVEMBRE’09
free download 10,9mb 3,37mb ANTEPRIMA

http://www.rapportoconfidenziale.org/

SOMMARIO del NUMERO19 (novembre 2009)

4 La copertina di Josh Pesavento

5 Editoriale di Roberto Rippa

6 Brevi appunti sparsi di immagini in movimento di Alessio Galbiati e Roberto Rippa

7 Bad Lieutenant: Port of Call New Orleans di Gianpiero Ariola

9 LINGUA DI CELLULOIDE Il ventre dell’architetto cineparole di Ugo Perri

10 Il nastro bianco di Alessandra Cavisi

11 La Taranta di Samuele Lanzarotti

12 RC SPECIALE – SOLO LIMONI. Genova – G8 – 2001 a cura di Alessio Galbiati
13 • Il cineocchio sul G8. Il concatenamento collettivo di enunciazioni di Giacomo Verde sui fatti del G8 genovese del 2001 di Alessio Galbiati
14 • Intervista a Giacomo Verde di Alessio Galbiati
Giacomo Verde
18 • bio
18 • video-filmografia (1983-2006)
20 • BELLEZZA e GIUSTIZIA. appunti per una riflessione su arte, politica, G8 di Genova di Giacomo Verde
22 • Genova – G8 – 2001. Videografia a cura di Alessio Galbiati

24 Il tempo muore anche al cinema. François Truffaut e il ciclo Doinel di Monia Raffi

29 Alan Turing: il film sarà bellissimo! di Costanza Baldini

30 L’ELENCO DI n COSE – classificazione enciclopedica del nulla #1 a cura di Gregory Arkadin
I 6 film che non possono mancare nella videoteca dell’ex-governatore del Lazio, Piero Marrazzo.6 titoli per provare ad accettare la propria reale natura e vivere serenamente.

34 RC SPECIALE – Quentin Tarantino’s. INGLOURIOUS BASTERDS a cura di Alessio Galbiati e Roberto Rippa
35 • Inglourious Basterds di Roberto Rippa
36 • Inglourious Basterds. Le convergenze parallele (e bastarde) di Quentin Tarantino di Alessio Galbiati
38 • Riferimenti cinematografici
39 • Personaggi
40 • Riferimenti musicali
40 • Colonna sonora

42 Pedro Almodóvar Caballero di Alessio Galbiati
46 • Pedro Almodóvar. Filmografia completa (1978-2009)
47 • Bibliografia. La critica in lingua italiana

Baisers Volés di François Truffaut


Con la terza pellicola incentrata sulla figura di Antoine Doinel, Truffaut svela definitivamente la sua intensione di voler portare nel cinema un ciclo che si avvicini alla tradizione letteraria francese della Commedia umana di Balzac e dei Rougon-Macquart di Zola.
Dopo lo straordinario esordio con Les 400 coups e il simpatico episodio di Antoine et Colette contenuto nella pellicola collettiva L’ Amour à vingt ans, ritroviamo il nostro di ritorno dal servizio militare.
Quello di Antoine in Baisers Volés è un debutto nella vita, terminata l’adolescenza è il momento di prendersi la responsabilità e di diventare uomo sia nel lavoro che nella vita sentimentale. Doinel si dimostra però come quello che si era percepito fin dai primi due episodi: la sua vita non può seguire la regolarità degli altri esseri umani perché per quanto egli tenti di costruirsi un mondo ordinario si ritrova sempre in situazioni straordinarie. Le circostanze, però, non lo trasformano nell’eroe cinematografico ma altro non fanno che confermare la sua provvisorietà, il suo essere un anti-eroe; Doinel è condannato ad essere un precario dell’esistenza: se Truffaut amava affermare che il cinema lo affascinava tanto poiché in esso si riscoprivano i motivi di assoluto ai quali si può mirare solo nell’infanzia, con il personaggio di Doinel egli mette in scena la relatività della vita che si allontana dall’universo cinematografico dove “tutto è per sempre”. Ovviamente molto del merito va al protagonista, Jean - Pierre Léaud, al quale il regista lasciò tutta la libertà d’azione richiesta: l’attore con la sua recitazione manierata fatta di tic, scatti, d’inconfondibili nevrosi conferì a Doinel una goffaggine mista a stralunatezza che lo rende a tutt’ oggi uno dei personaggi più “umani” della storia del cinema.
L’intera pellicola è curata, come era solito fare Truffaut, fin nei minimi particolari: dalla sceneggiatura scoppiettante ricca degli inconfondibili motivi del suo cinema, all’attenzione per i personaggi secondari di modo che l’opera acquisti la forza di una rappresentazione corale di uno scorcio di vita sul finire degli anni ’60. A questo proposito il regista fu accusato più volte di omettere la componente politica che segnava il periodo (siamo nel ’68, agli albori del maggio francese); in realtà il cineasta si divise animosamente tra le riprese del film e la campagna a favore di Henri Langlois che nel periodo era stato dimesso dalle sue mansioni alla Cinémathèque Française; nel suo essere scevra di riferimenti politici, la pellicola resta, se così si può dire, un film “impegnato” non solo nel chiaro incipit che immortala la Cinémathèque sbarrata con in sovraimpressione la dedica a Langlois ma nel fatto che lo stesso Truffaut dichiarò più volte che la pellicola era strettamente legata a questi fatti.
L’opera segue perciò uno spirito paragonabile ai film di Renoir, non solo nel finire per essere politico senza pretenderlo ma anche nello spirito di straordinaria fiducia nell’uomo che permea tutta la pellicola; non a caso il personaggio di Fabienne Tabard (Delphine Seyrig) ricordando le parole del padre sul letto di morte dirà: “Les gens sont fantastique”. Questo personaggio oltre ad essere “alla Renoir” incarna alla perfezione l’amore secondo Truffaut e la duplicità dei suoi personaggi: Fabienne si palesa in un primo momento come la donna angelica, la diva da cinema verso la quale il povero Doinel si dimostra goffo e intimorito per poi svelarsi come donna terrena, la puttana e l’amante che come nulla fosse s’ intrufola tra le lenzuola di un attonito Antoine.
Baisers Volés è un film leggero e nostalgico come vuole dimostrare la canzone di Trenet alla quale il titolo s’ ispira. Un film che ci riporta indietro ad un’epoca storicamente influente ma che non è stata vissuta soltanto sulle barricate; ed un’opera che ricorda come la vita, anche se precaria e relativa, nei suoi molteplici e straordinari intoppi è più vicina al cinema di quanto si creda.

La Femme d'à côté di François Truffaut

La femme d'à côté è un film bello, bello nel senso classico della parola. Quando Canova scolpì Amore e Psiche, fece sue le teorie di Winckelmann ricercando nel fare artistico la “nobile semplicità” e “la quieta grandezza” che avevano le opere del mondo antico.Truffaut ci presenta un film che ha questo spirito. La femme d'à côté ricalca nel cinema quella che è la purezza grandiosa del classico: Truffaut riesce a rendere nobile ciò che poteva essere suscettibile di bassezza, rendendo quieta la follia di una passione.
Ma anche un film in cui ha saputo legare il suo essere cinefilo al suo nascere come un semplice spettatore: la figura di Madame Jouve che ci presenta la storia, che ci accoglie nella finzione é una gustosissima chicca per chi nei film ama vedere il cinema, eppure allo stesso tempo c’è la storia d’amore, quella più fruibile, quella dello spettatore che invece al cinema aspetta di vedere la grande emozione della vita resa sogno. Perché come dirà Roland a Mathilde ci sarà sempre bisogno di storie ben raccontate. Esprimendo probabilmente il pensiero di fondo che ha animato il cinema di Truffaut. Un film che mostra come una passione, un amore finito molti anni prima possa rinascere. Nel narrare questa storia Truffaut ricalca forse quello che è il tòpos più straordinario dell’amore: il suo essere una bruciante passione che nutre l’uomo del suo bisogno d’infinito. La storia tra Mathilde e Bernard è il cuore della pellicola, le altre figure appaiono come spettatori in seconda, in bilico tra il toccante e il ridicolo. Come i giocolieri di Picasso attendono, un po’ curiosi nel loro essere e non essere dentro al film.

Je me retrouve cômme Edith Piaf,
Vous savez ?!
Rien de rien, je ne regrette rien!


Eccezion fatta naturalmente per Madame Jouve, lei che della passione è una vittima miracolosamente sopravvissuta, quella che ci mette al corrente dei fatti, della storia che forse vediamo anche dal suo punto di vista. Un po’ sarcastica quando racconta del suo passato, ha la voglia di vivere di quelli che nella vita hanno avuto una seconda possibilità. Una figura a cui tutti fanno capo, tra cui Mathilde che vede nella sua storia d’amore qualcosa di torbido che l’ affascina.
L’amore rinasce, o forse semplicemente si ravviva, perché l’amore vero è quello capace di finire senza mai spegnersi. Si riaccende a poco a poco tra sguardi, telefonate e parole non dette. Si consuma in una stanza di una pensione, tra i ricordi dove il passato risorge, per sorreggere o forse distruggere il presente. Quella finta voglia di rimanere amici, qualcosa d’impossibile per chi si è bruciato al fuoco della passione. A tenere le redini del gioco, c’è lei, la donna: quella creatura insieme divina e terrena, una donna che vive quell’amore clandestino ridendo e piangendo con modi tanto autentici da sembrare infantili. Una donna a cui tutto sembra dovuto forse perché insieme madre e bambina. E’ Mathilde e Bernard si culla nelle sue mani. Lei è la musa, lui il pittore che contempla la sua bellezza fino a rimanerne ammaliato. Bernard si ritrova la vita stravolta da questa donna che ha amato, che precipita come una stella in una vita ordinaria. La ama, la odia, lei è tutto.
Siamo nei dintorni di Grenoble, una manciata di case, un circolo dove si gioca a tennis, un supermercato. Mathilde vive nelle situazioni più comuni ma sembra non appartenervi affatto, come se fosse piombata in questo mondo per puro caso, giunta dal mondo irreale di una letteratura lontana. Fanny Ardant e Gérard Depardieu giocano il ruolo dei due amanti sfiorando la perfezione, lei è bellissima come una creatura inarrivabile, lui teso in bilico tra una fisicità divertente e un po’ goffa e quell’irresistibile faccia da schiaffi da amante perfetto. Lei è tra la gente ma sembra essere sola, si muove nello spazio riuscendo a rimanere immobile e sontuosa come una statua. Due interpretazioni essenziali ma da brivido, due attori ai quali dopo un film del genere si può perdonare qualsiasi caduta di stile.
Ma è anche un amour fou che annichilisce il resto del mondo. Bernard oscilla dall’amore contemplativo a quello più terreno, quasi animalesco, quello che rende gli uomini privi di senno. Fa a Mathilde una scenata di gelosia pazzesca, davanti agli amici e alle rispettive famiglie. Come se fossero soli, come se il desiderio l’ avesse accecato, il voler vivere solo lei.

Oui, je dis mon chéri
Tu es toujour mon chéri
Même si tu ne veux pas, mon chéri


C’è una scena in questo film che trovo sia una delle scene d’amore più belle mai viste sullo schermo. Mathilde e Bernard sono in macchina. Lei piange, lui le porge il fazzoletto. Lei si soffia il naso e quando glielo restituisce, Bernard bacia il fazzoletto. C’è qualcosa d’enorme in questa sequenza. Qualcosa che butta fango su decine di pellicole in cui innamorati si lanciano segnali d’ amore nelle maniere più improbabili. La semplicità, la purezza, il sentirsi parte l’uno dell’altra: l’amore quello vero, che è sentirsi una cosa sola, quello che fonde due vite in una. Il favoloso tocco di Truffaut.


Ma c’è qualcosa nell’incanto che fa a pugni con il tempo, le rose possono resistere nella loro completa bellezza solo qualche giorno, poi perdono il loro profumo e si consumano. Solo la brusca interruzione regala l’eternità, perché solo nella fantasia, come canta Guccini, gli eroi son sempre giovani e belli. E Mathilde lo sa, fino all’ultimo attimo della sua vita è la donna. Quella donna che come detiene l’immenso mistero della vita, sembra poter avere anche il diritto sulla morte. Morte che racchiude l’amore, che lo rende favola, e che fa sì che non si scinda per l’infinito del tempo. Perché quest’amore in questo tempo, non può esistere.

ni avec toi, ni sans toi.

Les 400 Coups di François Truffaut - secondo tempo


Non a caso l’unica persona di cui si può fidare Antoine e l’amico Renè trasposizione cinematografica di un vero amico del regista, Robert Lachenay Truffaut sembra non scordare che nell’ adolescenza l’ amicizia è un sentimento fortissimo, fondamentale che va a costituirsi come una nuova famiglia, che ci comprende più di quella vera indipendentemente se questa sia presente o meno. Renè è la persona ideale con cui divertirsi e vagabondare per le vie di Montmartre, e per condividere le stesse passioni, come quella per il cinema. Ma è anche l’unica persona su cui Antoine può veramente contare, che si occupa di lui come avrebbe dovuto fare la madre, che gli trova un posto in cui stare quando tutti sembrano essersi scordati i lui. Slanci di amicizia disinteressata che raramente si possono trovare nel mondo adulto, un’amicizia che non ti lascia nei momenti di difficoltà. Esemplificativa la sequenza in cui Renè va a trovarlo in riformatorio, dove non lo lasciano entrare e dove vediamo Antoine aggrapparsi al vetro nella speranza di incontrare l’unica persona che voleva veramente vedere.
La maggior parte delle esperienze che vive Antoine Doinel, sono state realmente vissute da François Truffaut, anche se in un intervallo più ampio: l’esperienza del carcere, la forte amicizia con Lachenay, il rapporto con la madre. Anche l’ambientazione, Montmartre e in particolare Pigalle richiama i luoghi della gioventù del regista.
Il film ha una bellezza intrinseca innegabile, grazie a piani e sequenze veramente splendidi. la sequenza iniziale dove vediamo la Torre Eiffel far capolino tra i tetti di Parigi. L’incantevole sequenza girata al teatro dei burattini, dove Truffaut coglie, con una cinepresa opportunamente nascosta, sguardi ed espressioni di bambini; ed è proprio la verità di queste inquadrature, la naturalezza espressiva dei bambini ad essere assolutamente bellissima. Il piccolo Doinel che portato in carcere, lancia dalla camionetta gli ultimi sguardi verso quel mondo che ha rappresentato fino a quel momento la sua vita e dove per la prima volta lo vediamo piangere.
E La sequenza finale, Antoine che scappa, Antoine che va verso il mare.
Finalmente il mare, un lunghissimo piano: Antoine che scende le scale per arrivare sulla spiaggia, Antoine che corre verso quel mare che non aveva mai visto; ormai è come se tutti fossimo su quella spiaggia con lui, aspettiamo col fiato sospeso il momento in cui toccherà finalmente l’acqua. Una sequenza estremamente emozionante, resa tale dal tempo naturale, perché Truffaut non ha fretta, il minuto che scorre sulla pellicola è esattamente quello che impiega Léaud a percorrere la spiaggia; fino alla fine, quando, una volta raggiunto lo scopo si volterà e guarderà indietro, e Truffaut stringendo sul viso di Léaud/Doinel, ferma l’immagine e il film su uno splendido primo piano, in un’espressione che trattiene in se tutti i quesiti che si pone Doinel, che si pone il film e che tutti ci poniamo durante l’adolescenza.
Les 400 coups, è un film capolavoro se oltre alla storia pensiamo a come è stato girato e al fatto che all’epoca delle riprese Truffaut aveva solo ventisei anni. Un’opera importantissima sia per la Nouvelle Vague che per il cinema tutto, davanti alla quale ogni parola detta appare più che mai riduttiva.

Le 400 Coups di François Truffaut - primo tempo


L’adolescenza periodo di interminabili conflitti interiori che sfociano nell’insofferenza per ogni regola precostituita, periodo teso tra l’infanzia e la maturità, in cui ogni sbaglio, ogni cosiddetto errore diventa un insormontabile ostacolo. Truffaut presenta l’adolescenza come un periodo invaso da questi dissidi, imperniando il film sul dato biografico, o meglio sull’esperienza personale per raggiungere un discorso più ampio: la sordità degli adulti verso un momento difficile, l’ipocrisia di quei ragazzi che una volta diventati adulti smettono di ricordare obbiettivamente quello che erano stati. Attraverso la storia di Antoine Doinel tocca i punti cardine di questo periodo: il rapporto spesso difficile con la famiglia, l’incontro/scontro con le istituzioni e il ruolo fondamentale dell’amicizia.
Ad interpretare la parte di Antoine Doinel troviamo Jean Pierre Léaud che da questo film in poi diventerà volto fedele della Nouvelle Vague. Truffaut lasciò molta libertà d’interpretazione al giovane Léaud che conferì fin da subito a Doinel una certo vigore e una certa sfrontatezza che questo personaggio a priori non aveva. Doinel non si pone quindi come l’alter-ego di Truffaut ma come un personaggio immaginario che si trova ad essere la sintesi di due persone reali* (Truffaut e Léaud). A les 400 coups seguiranno poi altri film che avranno come asse narrativo la figura di Antoine Doinel, che sarà seguita nelle varie fasi della vita: L’ amour à vingt ans (1962), Baisers volés (1968), Domicile conjugal (1970) e L’ amour en fuite (1979).
Il rapporto controverso con la famiglia è il perno, il motivo scatenante delle azioni di Antoine. Truffaut traccia un ritratto disarmante di una famiglia dove il figlio è sentito come un peso costante, quasi un alieno (=altro), che si è interposto laddove non era voluto e quindi verso il quale non si ha neppure un umano dovere. La piccola casa dove i tre vivono, l’ingresso adibito a cameretta proietta in qualche modo lo spazio misero che Antoine occupa nella vita dei genitori, come un ospite poco gradito al quale si fa il favore di trovare un posto dove dormire. La madre è ritratta cinicamente come una donna dedita soltanto a se stessa, che trova sollievo nel mandare il figlio in riformatorio per potersene finalmente liberare. Il patrigno, forse capace di più amore rispetto alla madre, nei confronti di un figlio biologicamente non suo. Una figura non cinica ma limitata, che probabilmente non è capace veramente di educare e capire Antoine e che pensa in fondo di aver fatto tutto quello che era nelle sue possibilità. Gli adulti appaiono come un mondo severo e intollerante anche laddove non ne avrebbe il diritto. Doinel ruba una macchina da scrivere, ma poi la restituisce perché non aveva tratto nessun vantaggio da questo furto. Il gesto di restituirla, avrebbe dovuto già di per se far attirare su Antoine una certa benevolenza da parte degli adulti (che avrebbe comunque potuto tenerla) ed invece crea un ascendente di cattiveria nei suoi confronti. Il patrigno che avvertito del furto lo conduce in caserma perché non sa più che misure adottare, l’arresto per furto e vagabondaggio e infine il riformatorio: un intero mondo che chiude le porte a questo nuovo figlio invece di cercare di capirlo.


seconda parte


* da Le avventure di Antoine Doinel

Jules et Jim di François Truffaut

La vita era come una strana vacanza;
mai Jules e Jim avevano giocato una partita a domino così importante.
Il tempo passava. La felicità si racconta male perché non ha parole,
ma si consuma e nessuno se ne accorge.


Jules e Jim, uno dei ménage a trois più famosi della storia del cinema. Un film che a distanza di tanti anni riesce ancora ad essere emozionante e senza tempo, così come solo l’ amore può essere. Un amore ancora attuale perché colto nella sua purezza, nel suo trascendere dai vincoli terreni e morali. Come si possa riuscire a trasmettere un sentimento di amore puro attraverso la storia di un’ amore a tre è una delle cose più affascinanti del racconto di Pierre Rochè, dalla quale rimase colpito anche lo stesso Truffaut. La gestazione del film fu perciò abbastanza complessa, era necessario riuscire a trasportare questa poeticità su pellicola evitando però di trasformare il libro in un’ opera teatrale. Decise per questo, insieme a Gruault che la sceneggiatura sarebbe dovuta essere molto vicina al libro, cercando di cambiarla il meno possibile e affidandone intere parti alla voce narrante.
Jules e Jim sono due amici, un tedesco e un francese, la cui spensierata esistenza è sconvolta dall’ arrivo di Catherine. Tra i tre inizierà un rapporto che sarà l’ emblema di quanto l’ amore può essere una passione tanto gioiosa e divertita quanto travolgente e drammatica.
Catherine è l’ essenza della femme fatale, un essere appartenente ad un universo inaccessibile; donna criptica e imperturbabile che è insieme forza generatrice e distruttrice; ne ritroviamo
un ritratto perfetto nei versi de Le Tourbillon che Catherine canta insieme ad Albert (Boris Bassiak) davanti al camino dello chalet: Elle avait des yeux, des yeux d'opale, /Qui me fascinaient, qui me fascinaient./ Y avait l'ovale de son visage pâle /De femme fatale qui m'fut fatale/De femme fatale qui m’fue fatale.Non a caso è fatta somigliare a una statua; quella statua di cui Jules e Jim erano rimasti ammaliati qualche tempo prima.
Jeanne Moreau interpreta amabilmente l’ imperturbabilità di una donna che vive l’ amore a modo suo, senza mezzi termini. I due amici si lasciano travolgere da questa passione, come due marionette che sanno di essere tali, ma a cui questa condizione non dispiace affatto poiché coscienti di non poterne più fare a meno. L’ amicizia tra i due anziché rovinarsi si rafforza, perché non conosce gelosia. E’ un amicizia delicata, che trova il suo fondo nell’ amore per l’ arte e soprattutto per la poesia, e quindi nel rispetto. La gelosia, che potrebbe sembrare naturale in un relazione di questo tipo sembra non scalfire affatto; appare soltanto in pochi episodi, in cui però ne è sottolineata la negatività, quasi fosse un sentimento innaturale.
Così come di tradizione letteraria è il personaggio di Catherine, lo sono a loro modo anche Jules e Jim. Se come sottolineava Truffaut, qui non c’è il buono e il cattivo, come ci si aspetterebbe, è tuttavia vero che i due rappresentano il classico gioco degli opposti. A cominciare dalla caratterizzazione fisica e geografica per arrivare a quella caratteriale: Jules (Oskar Werner) è il più sognante, vagamente malinconico; un personaggio naïf, che come un bambino, si muove ingenuamente in un mondo che non conosce, ma proprio perché bambino anche capace di vivere l’ amore senza spiegazioni e di lasciarsi andare in momenti di fresca allegria. Jim (Henri Serre) più razionale, sia nel rapporto con Jules che in quello con Catherine, alla quale tenta di opporsi, seppur con non poche difficoltà. Jim inoltre a differenza di Jules, ha un’ altra donna, Gilberte, che lo attende; una sorta di porto sicuro nel quale tornare nei momenti difficili.
Truffaut si muove dolcemente in questo mondo, quasi in punta di piedi. La macchina da presa indaga nelle espressioni e sui volti, lasciando trasparire i pensieri senza bisogno di parole. Cammina con loro quando partono alla ricerca degli ultimi segni di civiltà, gira velocemente su se stessa nel riprendere la scena giocosa al tavolo dello chalet, come a rappresentare il processo circolare (tourbillon) della vita. Riprende i momenti privati della vita familiare. I fermo immagine sui primi piani di Catherine, sono ormai famosi. Truffaut avrebbe preferito che non fossero percepiti dallo spettatore, ma in realtà questa percezione rimanda alla natura fotografica del cinema, facendo avvertire quei fotogrammi come delle vere e proprie foto che appaiono sullo schermo. Le immagini d’ archivio sono una vera chicca; richiami alla veridicità della storia, della guerra, nella sua assurda atrocità e della Parigi di primo ‘900. Quasi nel tentativo di ricordare che la storia di Rochè era parzialmente autobiografica e quindi non solo finzione.
Le lunghe dissolvenze tra le varie sequenze, poi, rimandano all’idea del libro, alla lentezza con cui si sfogliano le pagine, mentre la voce narrante ci guida tra questi anni che scorrono veloci sullo schermo.
Jules e Jim è un film delicato che lascia nel cuore impalpabili emozioni veramente difficili da spiegare; è la gioia e la disperazione dell’ amore vissuto pienamente, è la completezza di un sentimento che vive e muore di se stesso.



TRAMA E SCHEDA TECNICA