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Goodbye Lenin! di Wolfgang Becker


Non peccare di retorica in un film che narra un fatto storico ancora “fresco” come la caduta del muro di Berlino e soprattutto dicendone dal punto di vista di chi ha vissuto dalla parte dell’Est non è semplice. Un trapasso storico di tale portata è ancor prima che un crollo di mattoni, la caduta di un “mondo” intero che scompare per sempre, la fine di una società che non ha vissuto soltanto nei libri, ma dove donne e uomini prima forti di una consapevolezza politica -poco importa nel nostro contesto quale fosse in realtà la loro intima convinzione- si ritrovano smarriti nelle azioni quotidiane.
La scomparsa di un mondo e le conseguenze emotive che ne derivano è proprio ciò che vuole sottolineare Becker in Goodbye Lenin!, la pellicola, applauditissima in Germania e meritatamente vincitrice al Festival di Berlino, ha commosso grazie alla sua leggiadria e al saper essere allo stesso tempo lieta ed amara mostrando al pubblico in modo diretto ciò che è un importante momento storico nella vita quotidiana: il film fonde intimità e collettività nel racconto di quei mesi dove due civiltà tornavano a ricongiungersi.
Christiane dopo una lunga depressione causatale dalla separazione dal marito diventa una fervente militante del Partito Socialista battendosi in tutti i modi per lo Stato e la riuscita di un vero socialismo; una notte suo figlio Alex si trova, quasi per caso, in un corteo: la madre vedendolo picchiato dalla polizia del “suo” partito e incapace di reagire davanti a tanta violenza è colpita da un infarto, che, a causa del ritardo nei soccorsi la manda in un coma. Qualche tempo più tardi si risveglia, sono passati pochi mesi, ma tutto intorno a lei è completamente cambiato, il Muro di Berlino è caduto e il regime finito. Christiane, però, come consigliano i medici, non può subire ulteriori shock emotivi che le sarebbero fatali, cosicché Alex decide di non avvertirla di ciò che è successo nei mesi del suo sonno comportandosi come nulla fosse accaduto.
La Repubblica Democratica grazie ad Alex continua a vivere, seppur solo nella stanza di Christiane: dalla ricerca dei cibi del tempo -già introvabili perché velocemente rimpiazzati nei supermercati dalle mille marche arrivate da Occidente- ai telegiornali di regime, che il ragazzo ricrea insieme ad un amico cineasta, tutto deve proseguire come nulla fosse accaduto, per far vivere alla madre quella “normalità” che gli altri hanno perduto. Le trovate di Alex nascondono dietro la bizzarria del gesto, la malinconia di un universo perduto e l’insicurezza portata dal cambiamento repentino; ragazzi perduti, che non rimangono abbagliati dal trambusto della civiltà dei consumi che fa si che si lasci la facoltà di economia per lavorare in un Burger King e vivono un momento d’interdizione.
Goodbye Lenin! è proprio questo: la ricerca di una nuova identità nel caos del nuovo e, al di là delle nostalgie di vario genere, dalla pellicola trapela la spiccata malinconia di chi ha visto un mondo costruirsi lentamente e dissolversi in un attimo; una damnatio memoriae della propria storia, ripeto giusta o sbagliata che sia non sta a noi deciderlo, e di radici che vengono strappate in un attimo.
La libertà, quella vera, che non consiste nel poter scegliere tra dieci marche diverse di biscotti, risiede nello stupendo epilogo che, seppur fittizio, mostra attraverso l’ipotesi di una situazione capovolta, ovvero della civiltà occidentale che scappa in oriente per rifuggere il capitalismo, una bellissima immagine di ciò che poteva essere ma che purtroppo non è stato.