"Eppure che è la fame? Un vizio! È tutta un'impressione! Ah, se nun c'avessero abituati a magnà, da ragazzini".
Sono gli anni dell’Italia che vuole scordare le angherie del Fascismo, la povertà e la fame causate dalla guerra, di un Paese che si affaccia in una nuova era: quella delle vacanze, dell’automobile che corre veloce verso il mare con Gassman e Trintignant, quell’Italia che sogna il cinema e la dolce vita di Fellini. Tra queste due pellicole che rielaborano in modo seppur diverso il fallimento di una classe borghese ancora in fasce, Pasolini fotografa un’altra faccia della società, quella del sottoproletariato.
In Accattone Pasolini racconta i figli delle borgate, degli uomini e delle donne che si spostano dai piccoli centri e riempiono le periferie delle grandi città in cerca di un nuovo benessere che, però, non è per tutti. Pasolini dà luce proprio a questi tanti che l’altra Italia, intrinsecamente terzomondista, cerca di nascondere come polvere sotto un tappeto.
Accattone (Franco Citti) non è il povero di De Sica, che guarda al futuro con speranza, che cerca di mantenere una sua dignità. Accattone è il povero moderno che subisce la sua condizione; Pasolini lo segue nelle sue giornate che scorrono lente, nel suo presente che è già passato. La strada polverosa, arida, spoglia è come la metafora dell’interiorità di Accattone e della condizione sociale di un Paese che in poco tempo ha lasciato una società rurale e si avvia verso un’industrializzazione malata.
Niente è concesso, tutto è sfruttato: solo le donne cercano almeno di riscattarsi, come Maddalena (Franca Corsini) o di sognare una vita dignitosa come Stella (Franca Pasut). Sarà proprio quest’ultima che accenderà una piccola fiamma di cambiamento nell’animo di Accattone, destinata però a spegnersi subito.
Accattone non si accetta né si condanna, Pasolini lo fa approcciare allo spettatore in modo scientifico. A lui non è concessa neanche l’aggettivazione del sentimento è disumanizzato dalla società in cui vive, costretto a un’alienazione perpetua da cui non c’è prospettiva. E’ destinato solo alla morte: forse unica liberazione di un uomo che non c’è.
Mezzo secolo ci divide da questa pellicola, che potrebbe essere stata realizzata domani, se solo disponessimo ancora di menti accorte com'era quella di Pasolini. Un uomo, prima ancora che un regista nel senso stretto del termine che, mentre si manifestavano speranze, filmava un seme malato dell’Italia.
Questo seme negli anni è stato ben annacquato e si è trasformato in una pianta con salde radici difficili da estirpare. E in una cornice cambiata, dove le strade non sono più di terra ma di asfalto, gli Accattoni continuano a muoversi nello stesso modo. E Pasolini, che come tutte le belle menti, non ha tempo, con questa pellicola ci lascia la consapevolezza che un uomo senza cibo né per lo stomaco né per la mente, sarà costretto a camminare in un lungo e immaginario circolo dove tutto è condannato a rimanere immutato.
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