L’esordio di Bellocchio dietro la macchina da presa ha tutto il gusto delle nuove ondate europee ed americane del periodo. L’efficacia della pellicola risiede ancora nelle novità dell’impianto stilistico in grado di lacerare il passato con una messa in scena svincolata da dogmi cinematografici e nell’irruenza con cui il regista tratta temi “delicati” come rapporti familiari, malattia fisica e mentale.
Parte del merito della riuscita del film va attribuita alle interpretazioni degli attori principali tra le quali brilla quella di Lou Castel: l’allora giovane attore donò al suo personaggio, Sandro, una malinconica follia ornata da una fredda crudeltà di uno splendore senza pari.
L’intera vicenda ruota attorno ad una famiglia di provincia, un tema che in qualche modo può esser considerato attiguo alla realtà italiana. In tal modo Bellocchio si avvicina ai grandi esordi dell’epoca: trattare nello specifico un argomento per quanto possibile prossimo all’ambiente conosciuto così da prendere le distanze dalle grandi storie “da cinema” per poi mescolarvi uno stile innovativo e personale; in questo caso il regista saggia melodramma e crudo realismo, simbolismo ed echi di rivoluzione. E’ la dissacrazione della famiglia borghese e del modo cattolico d’intenderla. Il cinismo del film è un mezzo necessario a rappresentare la palingenesi della generazione che da lì a pochi anni sarà protagonista dei movimenti del ’68.
In una villa della provincia piacentina vivono insieme alla madre cieca quattro fratelli. Questa casa isolata diventerà una gabbia dalla quale sarà impossibile evadere, un microcosmo autodistruttivo che si nutre della follia dei suoi abitanti. L’unico che sembra riuscire ad allontanarsi è Augusto, il fratello maggiore, il solo che conduce una vita ordinaria: incaricato in qualche modo di rimpiazzare il padre -che come figura è totalmente assente-, amato dalla sorella Giulia e invidiato dal fratello minore Sandro. Quest’ultimo attratto dalla vita di Augusto, dalla sua -se così vogliamo definirla- normalità, decide che per svincolarsi da questa trappola familiare è necessario tagliare tutti i rami malati dell’albero a cominciare dalla madre. Gli omicidi che si susseguono, quello della madre e poi quello di Leone, sono costruiti in un climax che fa immedesimare lo spettatore nei sentimenti vissuti in quell’istante da Sandro. Alla morte non segue sofferenza, non a caso con non poco distacco sentiremo dire: “Questa casa non è mai stata cosi viva come per un funerale”; letta in senso allegorico la morte, che è un taglio netto con il vecchio, diventa una rigenerazione: la carta della morte può essere anche quella della rivoluzione. Anche la cecità della madre può esser intesa come una cecità in senso metaforico sia della vecchia generazione come della nuova società borghese. La totale mancanza di una figura paterna simbolo sia dell’inutilità che di un vuoto di riferimenti.
Nella pellicola la malattia fisica può diventare il presupposto per leggere la realtà che ci circonda così come quella mentale diviene un modo nuovo d’intendere la vita. Colui che nel film rappresenta “la normalità” cioè Augusto, non raffigura la serenità che vorrebbe raggiungere Sandro ma l’omologazione che invece rifugge. La città con i suoi schemi diventa più claustrofobica della villa isolata, forse unico luogo dove è permessa l’espressione del proprio essere, dove la libertà esasperata fino alla follia sarà vissuta pienamente.
I Pugni in Tasca di Marco Bellocchio
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14 commenti:
Ogni famiglia ha il suo eggregore. Saluti. Nam
Questo è un film che ho e devo vedere il prima possibile. L'esordio di Bellocchio è favoloso e tu mi dai la conferma.
#nam: può essere...ciao!
#al: sì è considerato uno dei migliori esordi del cinema italiano, un film sicuramente da vedere! a presto!
Sono d'accordo, uno dei migliori esordi cinematografici! E molto bella l'ambientazione di provincia.
Ho visto due film di Emmanuel Mouret, sopratutto Cambio di indirizzo è palesemente ricco di scene o location truffautiane. Buone Feste. Nam
#christian: sì è vero. credo che l' ambientazione sia inscindibile dal contesto che bellocchio mostra.
#nam: non conosco... provvederò a recuperare. buone feste anche a te!
Intervengo anch'io su Mouret per dire che mi piace molto (sia "Cambio di indirizzo" sia "Solo un bacio, per favore") ma che più che Truffaut a me fa venire in mente Rohmer...
Ciao e buone feste!
sì, ho dato un occhiata credo che potrebbe piacermi...comprerò i dvd mi avete convinta :)!
buone feste anche a te!!
Un grande film (mi pare di avere sepolta da qualche parte una vecchia VHS, dovrò cercarla).
Buon Natale!
eheheh, io non le ritrovo mai a volte finisco per ricomprare film che già ho :)...comunque è un film che ogni tanto merita di essere rivisto!
buone feste anche a te!
Uno dei film della mia vita, fondamentale per la storia (parallela) del cinema italiano. Un film di "rottura" come non se ne vedono più.
Ne approfitto per farti i complmenti per il blog. :)
#dottor benway: grazie mille per i complimenti! i pugni in tasca è uno dei grandi esordi del cinema italiano, un film che amo moltissimo anch' io ^^
un film favoloso, tra i più ribelli dell'epoca.
Anche se Bellocchio dichiarò di esserne venuto a conoscenza dopo il titolo è molto vicino ad un'altro ribelle, Rimbaud:
La mia bohème (Fantasia)
I pugni nelle tasche rotte, me ne andavo
con il mio pastrano diventato ideale;
sotto il cielo andavo, o Musa, a te solidale;
oh! Là, là! Quanti splendidi amori sognavo!
La sola braca aveva un largo buco. - In corsa
sgranavo rime, Puccetto sognante. E l'Orsa
Maggiore era la mia locanda. - Lassù
le stelle in cielo avevano un dolce fru fru;
le ascoltavo, seduto ai lati delle strade,
nelle sere del buon settembre ove rugiade
mi gocciavano in fronte un vino di vigore;
e, rimando in mezzo ai tenebrosi fantastici,
come fossero lire, tiravo gli elastici
delle mie scarpe ferite, un piede sul cuore!
#matteo: sì vero, un gran bell' atto di ribellione cinematografica! bellissima questa poesia di rimbaud^^ grazie per avermela ricordata!! ciao, a presto.
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