Bande à Part di Jean-Luc Godard



Quando parti dall’idea che un film ti piace c’ è poco da fare, lo spirito critico va a farsi benedire e ti ritrovi a guardare le immagini con la faccia estasiata, pensando che non esista modo migliore per mostrare quello che stai vedendo.
Ma quando si tratta di Godard, sembra proprio che non si possa far altro che guardare questi piani e sentire il loro potere, più delle parole più di qualsiasi discorso fatto a priori. Godard si guarda e poi si discute e si riflette nell’idea che il cinema sia una forma d’arte semplice, che spesso dimentichiamo essere tale.
Bande à Part è un film di momenti. La storia della rapina fa semplicemente da sfondo ad un lungometraggio che si basa sugli istanti apparentemente banali della vita quotidiana. E’ la forza di Godard prendere i momenti morti dal punto di vista dell’intreccio e da questi generare il film. Forse proprio per quella concezione secondo la quale il cinema deve avvicinarsi alla vita.
Franz, Odile, Arthur tre ragazzi che fanno comunella divertendosi in una Parigi avvolta dalla nebbia (il titolo viene proprio dal francese faire band à part che corrisponde all’italiano fare comunella). La vita diventa così una commedia beffarda e spensierata: la lezione d’inglese che nessuno segue, il pomeriggio al bar fra le battute e i dispetti infantili. Ma è proprio questo a diventare interessante, come la famosa sequenza del balletto, dove tra un passo e l’altro la voce narrante dello stesso Godard ci svela i pensieri dei tre amici. O la decisione del minuto di silenzio, dove non sono soltanto Franz, Odile e Arthur a stare zitti ma è proprio l’audio ad essere staccato per una trentina di secondi.
Ma poi i primi piani ai volti di Odile, gli sguardi carichi di tristezza ci trasportano in un’altra dimensione della vita, quella in cui si accantonano i giochi per dare spazio ai pensieri e alle riflessioni; come l’inquadratura fissa a Odile che canta all’interno del metrò, quegli sguardi persi nel vuoto e il treno che va, da dove, fuori, s’ intravede come un miraggio la parola liberté che è, alla fine, tutto quello che vagando andiamo a cercare.
Gli squarci di una Parigi invernale, che fanno parte del film e della storia così come ne fanno parte i personaggi, i boulevard notturni e le sponde della Senna con i suoi bouquinistes dove comprare quei libretti di serie b che possono dare sempre un’idea. Quell’idea che lo stesso Godard trae da Fool’ s Gold di Dolores Hitchens per concepire questo film.
Ma il tempo scorre e il colpo va messo a segno; e come nei polizieschi che si rispettino bisogna aspettare che faccia notte. E allora l’ultima trovata della combriccola l’indimenticabile corsa all’interno del Louvre per tentare di battere il record mondiale di Jimmy Johnson. Ci riusciranno regalandoci una delle sequenze più assurde, esilaranti e memorabili della storia del cinema.
Questi momenti hanno trovato posto in molte scene di altri film, sono state citate o meglio ancora semplicemente riproposte e a loro volta sono diventati dei veri e propri cult. Forse proprio perché Band à part è quel cinema che si mescola alla vita, dove l’istante apparentemente vuoto si trasforma in indelebile ricordo.

2 commenti:

Monsier Verdoux ha detto...

Uno dei migliori film di Godard, forse perchè è uno dei più semplici e non è estremamente sperimentale come Il bandito delle 11 o Due o tre cose che so di lei.
Un perfetto esempio di Nouvelle Vague comunque.
PS:beol blog, ti linko sul mio e tornoerò a trovarti di sicuro.

monia ha detto...

#monsieur verdoux: grazie dei complimenti, ti linko anch' io!!! concordo, bande à part è forse il film più semplice di godard e credo il primo da vedere per avvicinarsi a qusto straordinario, ma complesso, cineasta! ciao ciao